Oggi come oggi, la pressione a diventare la “versione migliore” di noi è ovunque. Qualsiasi momento della nostra giornata è invaso da stimoli che ci dicono che dovremmo essere più produttivi, più in forma, più motivati. Ma se questa pressione all’auto-miglioramento si è trasformata in un’ansia costante, forse il problema non siamo noi, quanto il sistema che ci ha convinti che non andiamo mai bene.

Negli ultimi quarant’anni, l’industria che ci “vende” la cultura della performance ha colonizzato anche il nostro tempo libero: non leggiamo più per piacere, ma per dimostrare cultura; non camminiamo più per rilassarci, ma per raggiungere obiettivi tracciabili da un’app. Persino il riposo deve essere “ottimizzato”. Il confine tra cura di sé e ossessione per il tracciamento e l’ottimizzazione è diventato sottile. E mentre ci affanniamo per migliorare ogni aspetto della nostra vita, dimentichiamo il senso originario del prenderci cura di noi: essere felici, vivere in modo più sereno e non più performante.

L’industria del miglioramento personale è diventata un ricco business. App, corsi, influencer: tutti vendono soluzioni a problemi che spesso non sapevamo nemmeno di avere. Ma dietro ogni promessa c’è un messaggio implicito: se non riusciamo, è solo colpa nostra. Non siamo abbastanza determinati, costanti, forti. Così alimentiamo un senso di inadeguatezza cronico, che diventa terreno fertile per nuovi bisogni, nuovi acquisti e nuove illusioni.

Anche il confronto è parte del gioco: i social ci mostrano vite perfette, ordinate, filtrate. E ci fanno sentire in difetto per ogni mancanza o imperfezione. Ma quei modelli sono spesso una finzione costruita ad arte. Eppure, continuiamo a inseguirli, consumando la nostra energia in una corsa che non ha un traguardo. Finché non arrivano lo stress, il burnout e un senso di inadeguatezza che non chiamiamo mai con il suo nome. Lo travestiamo da pigrizia, incapacità o mancanza di volontà. E invece è solo l’esito naturale di un processo insostenibile.

Credo sia proprio il momento di cambiare strada. Di smettere di rincorrere standard irraggiungibili. Di riscoprire il valore del fare le cose per piacere a noi stessi e non agli altri, senza inseguire la prestazione a tutti i costi.
Il vero atto rivoluzionario oggi è fermarsi, dire “basta” a una corsa che ci consuma. E accettare che non dobbiamo adeguarci per valere: possiamo semplicemente esistere. E magari, da lì, iniziare a vivere una vita serena con le persone con cui stiamo bene.