Hai passato ore a lavorare sul tuo contenuto. L’hai aggiustato, riletto e controllato, hai cercato di renderlo interessante e pratico, hai scelto un’immagine evocativa o un meme a effetto.
Hai dato il massimo e quindi clicchi con sicurezza sul pulsante “Pubblica”.
Ora il tuo post entra nelle vite digitali degli altri, scorre sotto le dita annoiate, confuse e in cerca di stimoli dei tanti che hanno più o meno scelto di seguirti.
Tu sai che devi lasciarlo in pace, deve scaldarsi, proprio come accade quando metti l’acqua sul fuoco e, se la guardi, non bolle.

Passano un paio d’ore – che al ritmo degli algoritmi social equivalgono a una settimana – e ti accorgi che il tuo contenuto ha fatto solo tre like. Tanto tempo sprecato per tre miseri like!

Di chi è la colpa?

Puoi decidere di dare la colpa alla massa di persone stupide, ormai anestetizzate, disinteressate a qualsiasi cosa attivi le loro sinapsi. Oppure puoi incolpare gli algoritmi che vendono visibilità solo a chi ha soldi da spendere in advertising. Puoi infine incolpare la concorrenza, perché ci sono troppi contenuti ed è una lotta per strapparsi una coperta troppo corta.

In parte è così, non hai torto, ma il tuo contenuto soffre anche di altri ingombranti problemi. Uno di questi puoi risolverlo subito mentre un altro necessiterà di più tempo.

“Niente mi diverte di più del vedere un narratore noioso raccontare una storia dettagliata, senza risparmio; non sono interessato alla storia, ma al modo di narrarla.”

Charles-Louis de Montesquieu

Quello che puoi risolvere quasi subito richiede da parte tua un atto di consapevolezza: nessuno legge storie che non conosce, in cui non succede qualcosa eclatante o in cui non può immedesimarsi.

Ecco due modi di raccontare la stessa cosa:

  1. “Negli ultimi sei mesi le azioni di Tesla hanno perso metà del loro valore.” 
    Un contenuto del genere probabilmente interessa a qualcuno, ma è un dato ricercato spontaneamente da chi ne ha bisogno. Pochi si fermerebbero a leggere o commentare questo freddo post.
  2. “Questa volta l’ho fatta grossa, ho investito i nostri risparmi in un titolo sicuro come Tesla e ho perso metà dei soldi che servivano per comprarci la casa. Non ti dico mia moglie quanto si è infuriata, ma ero talmente certo di questo investimento che non ho ragionato sulle conseguenze.” 
    Questo è un contenuto che tocca le nostre emozioni, l’esperienza diretta, e fa parte di un viaggio in cui l’eroe ci rappresenta in tutta la nostra grandezza o debolezza.

Certo, sono due esempi molto tirati e sintetici, ma servono per capire come mai le persone non leggono i nostri post. Scorri i tuoi contenuti e verifica se quello che dico è sensato.

Il secondo motivo per cui non leggono il tuo post è perché non ti conoscono. Se ci fai caso, anche tu tendi a soffermarti sui profili di chi conosci, con cui condividi valori, stile, interessi e argomenti. Per ottenere questo occorre tempo, bisogna comunicare in una direzione ben precisa giorno dopo giorno, infarcendo i testi di ethos, pathos e logos. È necessario alimentare e confermare le aspettative di chi è in attesa del nostro contenuto. Nel marketing questa operazione si chiama “branding”: richiede costanza, coerenza e tempi lunghi. Non è per coloro che si aspettano di ottenere un risultato immediato.

C’è una grande regola a cui tutti noi dobbiamo sottostare: le persone sono interessate a sé stesse, non a te. Sui social si fermano sui contenuti che parlano di loro, non di te. Vogliono essere ascoltate, non ascoltare.
Potresti non concordare con me, ma se ci pensi bene lo fai anche tu quando apri uno qualsiasi dei tanti canali online. Lo fai per te, non per Aranzulla, la Ferragni o il Corriere della Sera