È una riflessione abbastanza logica, ma ci siamo caduti tutti.
Per avvalorare la mia tesi, non posso esimermi dal raccontare un po’ di storia di Internet.
Negli anni 2000, il WEB sembrava il nuovo Eldorado e molti editori, blogger e aziende aprivano siti nella speranza di catturare l’attenzione del grande pubblico che, da lì a poco si sarebbe riversato su queste tecnologie. Il rapporto con queste, allora esili, masse era chiaro. L’interfaccia con cui si immettevano nelle comunicazioni digitali erano prevalentemente due: un browser con cui “sfogliare” i siti e una mail per rimanere in contatto con amici, colleghi e clienti. Editori e pubblico erano collegati in modo diretto, senza intermediazione.
L’avvento dei social media, prima attraverso il Browser e successivamente attraverso le app, ha consentito alla stragrande maggioranza della popolazione di accedere a questi nuovi social network in tutta facilità e sicurezza.
Quello che negli ultimi anni è venuto a mancare agli editori digitali è l’accesso diretto al proprio pubblico. Le lusinghe di Facebook e Twitter (per quotidiani e Blog anche Google News) che, in un primo momento, sembravano lavorare sia nell’interesse degli utenti che dei creatori di contenuti si sono rivelate un cappio mortale per i secondi, nel momento in cui hanno voluto monetizzare questa mediazione. Il modello di business di Facebook ha avuto un drammatico effetto secondario: le persone hanno cominciato a stancarsi delle promozioni e dei contenuti irrilevanti, imponendo alla piattaforma di compiere una precisa scelta algoritmica; per non perdere pubblico, ha dovuto correre ai ripari mostrando più le foto delle vacanze della cugina che l’informazione del blogger o del quotidiano.

Oggi lo scenario è questo

L’industria dell’editoria digitale ha subito un forte rallentamento nelle ultime settimane. Oltre 1.000 dipendenti sono stati licenziati da BuzzFeed, AOL, Yahoo, HuffPost e Vice Media ha avviato il processo di licenziamento di circa 250 lavoratori. (fonte)
La cosa che sconvolge di più è BuzzFeed, che qualche anno fa sembrava l’idea giusta, la gallina delle uova d’oro. Ricordo di averla citata come esempio anche nelle slide che mostravo ai corsi. Fino a qualche tempo fa, tutti elogiavano Jonah Peretti amministratore delegato uscito dal MIT, come l’uomo che aveva interpretato nel modo giusto l’incrocio tra editoria e social media.
Solo fumo.
Oggi blogger e quotidiani hanno una buona parte del loro pubblico gestito da piattaforme che non possiedono. Per non parlare di persone e aziende che hanno investito tutto nell’esclusivo ecosistema dei social, alle quali va la mia più totale solidarietà.
Un cappio da cui bisogna sfilarsi con urgenza!

“L’unico modo per costruire un’azienda prospera in uno spazio dominato da aggregatori è quello di aggirarli, non di lavorare con loro”

ha scritto Ben Thompson nella sua illuminante newsletter del 28 gennaio.

La soluzione

L’avevo già sollecitata in precedenza, ma ora i dati e autorevoli guru del settore confermano la mia ipotesi: non te ne fai nulla dei like, dei follower, delle views sui social. L’unica cosa che conta realmente è il rapporto diretto: una mail, un numero di telefono, un iscritto a Telegram, un abbonato alla notifica del tuo Blog. Ma anche un biglietto da visita, un iscritto agli RSS Feed (chi se li ricorda?), un abbonato al servizio o un lettore che ha messo nei bookmarks il tuo sito. Queste sono le uniche metriche che contano.

Nel 2011 il The New York Times fu criticato per aver introdotto la versione a pagamento nell’edizione online. Era il momento in cui BuzzFeed stava decollando, grazie alla sua abilità nel sfruttare la potenza dei social network. Nel 2019 i freddi numeri dicono che BuzzFeed ha generato più di $ 300 milioni di fatturato, e deve ridurre i giornalisti, mentre “The Times” ha superato di $ 650 milioni solo dalla versione digitale. (fonte)

Non sminuire un contenuto di qualità donandolo gratuitamente. Non dico di farlo pagare, ma di fornirlo in cambio del legame diretto con il tuo pubblico. Facebook e gli altri social, sono il luogo in cui iniziare la relazione, ma non il luogo in cui coltivarla.
Disintermediare il rapporto con il tuo pubblico è l’obbligo che ci accomuna.
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