Qualche giorno fa, una ragazza che aveva partecipato a un mio corso mi ha scritto disperata: su LinkedIn aveva ricevuto dei commenti negativi, altezzosi e saccenti. Dopo aver trovato il coraggio di esporsi e aver ottenuto i primi consensi, sono bastati tre soli commenti per farle cancellare il post e – addirittura – l’intero profilo.
Convengo che l’emotività e il carico psicologico che ne deriva siano talvolta eccessivi. Tuttavia, credo esista anche un disagio profondo – che rilevo quotidianamente anche sotto i miei post – da parte di chi commenta.

Nel 1863, Charles Baudelaire scrisse Il pittore della vita moderna, descrivendo una figura che avremmo poi conosciuto come flâneur: un osservatore urbano distaccato, che si aggira nella città partecipando senza lasciarsi coinvolgere, assaporando il caos con estetico distacco. Ironico, lucido e, soprattutto, giudicante.
Personaggi così si vedono anche oggi nei commenti su LinkedIn, TikTok o Facebook: manifestano il loro disappunto verso chi osa esporsi e ottenere visibilità.

Troppo banale? “Imbarazzante.”
Troppo commerciale? “Imbarazzante.”
Troppo schierato? Sempre “imbarazzante”.

Cringe, cringe e ancora cringe.

Per chi crea contenuti, i moderni flâneur – con la loro intrinseca supponenza – rappresentano lo scoglio psicologico da affrontare. Più il contenuto funziona, più attira questi soggetti che non hanno mai costruito nulla, ma si sentono legittimati a inarcare il sopracciglio del giudizio.

Non si limitano a sbirciare: sono i togati cinici della sentenza. Non creano, non rischiano, ma si assicurano che tu provi il massimo del dubbio, dell’incertezza e dell’ansia ogni volta che cerchi di emergere dalle nebbie algoritmiche.

Nel libro Il mondo si divide in tamarri e aspiranti tamarri. Per anticipare un trend serve tutto tranne il buongusto, Paolo Schianchi indica proprio nel tamarro – con il suo essere sopra le righe – il vero anticipatore di stile.

Ogni sottocultura, ogni rivoluzione creativa, ogni cambiamento significativo nasce da un momento di “cringe”. Gli impressionisti furono derisi, i surrealisti ridicolizzati, i punk degli anni ’70 trattati come pazzi. Oggi c’è chi venera i film con Alvaro Vitali o “Er Monnezza”.
Perfino Madonna, quando esordì, suscitò imbarazzo generale… salvo, poi, diventare un’icona.
Chiunque abbia fatto qualcosa di significativo ha pagato il suo tributo al cringe. È salito sul palco quando non era ancora pronto. Ha pubblicato qualcosa prima di avere un pubblico. Ha sbagliato, ha osato, ha insistito.

Non dobbiamo nulla a chi deride e giudica.

Lasciamoli perdere.

Concediamoci il diritto di essere “cringe”. Di sbagliare. Di uscire fuori scala. Ma di essere veri.
C’è solo una cosa peggiore dell’essere imbarazzanti: essere quelli che te lo fanno notare.