Amo guardare i documentari d’epoca, quelli in cui si vedono città brulicanti di gente con le carrozze o le prime automobili, e ho riflettuto sul fatto che, all’inizio del ‘900, indossavano tutti un cappello. In questi ritagli di video, è rarissimo vedere passeggiare in strada qualcuno che non ce l’abbia.
Mostrano persone di qualsiasi età e classe sociale. E il cappello non era solo un indumento: era un simbolo, un segnale di appartenenza, di conformità alle norme di quel tempo. Non lo si indossava perché fosse pratico o necessario, ma perché lo facevano tutti gli altri. La “pressione dei pari” (peer pressure) agiva silenziosa, costante. Invisibile come l’aria che respiriamo, ma altrettanto difficile da ignorare.

Ora le dinamiche sono cambiate: tutti guardiamo una determinata serie nei canali streaming, scorriamo compulsivamente il nostro feed social, cerchiamo approvazione… un like nel mare digitale. Proprio come accadeva attraverso i riti sociali di cent’anni fa. Ma qualsiasi cosa facciamo è delimitata dal contesto: il luogo, la cultura, la generazione a cui apparteniamo. Un “tutti” che non è affatto universale. Perché, se guardiamo bene, vedremo che non comprende mai davvero tutti quanti.
In altri fusi orari, in altre comunità, ad esempio, nessuno si interessa alla partita di Champions. Nessuno si chiede cosa stia succedendo su Instagram. Nessuno si prende un giorno libero perché è festa. Da qualche parte non è neppure estate.
La “pressione dei pari” funziona così, è come quella atmosferica: invisibile eppure sempre presente. Agisce silenziosa, ti comprime a terra senza che tu te ne accorga, ti spinge a credere che certe scelte siano giuste, “normali” o universali. Ma non lo sono affatto.
Quindi, fermati un momento. Guardati intorno. Le abitudini che hai, le tradizioni che segui, le aspettative che cerchi di soddisfare: sono davvero tue? O sono il frutto di una pressione che nemmeno percepisci?
Adesso, se fossi un guru della motivazione, sarebbe facile per me sentenziare: “Se queste cose non ti aiutano a crescere, a essere chi vuoi davvero essere, a raggiungere i tuoi obiettivi, c’è solo una risposta: liberati e ignora la pressione”.
Ma io sono il primo tra i calzolai che va in giro con le scarpe rotte. Sono il primo a essere schiacciato dalla pressione.
Forse dovrei acquistare un cappello.