Non puoi piacere a tutti, non devi piacere a tutti e non puoi delegare agli altri chi vorrai essere. Il posizionamento di brand è una delle scelte più complesse e faticose da compiere. Devi decidere a chi risultare antipatico, distante e poco attraente. Se vuoi piacere a qualcuno, devi renderti sgradito a qualcun altro. Non esiste alternativa.
Ci sono poi altre scelte impegnative correlate al posizionamento: l’identificazione del pubblico e la definizione degli obiettivi. Questa è una materia complessa, che non dovresti affidare a chi non ti conosce bene – inclusi i tuoi limiti professionali, psicologici e comunicativi – o a chi non comprende il mercato a cui ti rivolgi.

Nelle consulenze spesso vedo che le persone imitano modelli distanti, come noti personaggi di riferimento, oppure applicano ciò che hanno letto in un libro, o addirittura copiano e incollano quanto suggerito da uno dei tanti strumenti di generazione automatica di contenuti. Questo rende il loro posizionamento debole e incoerente, allontanando – invece di attrarre – chi si sente parte di questo posizionamento.

Ogni volta che parliamo di una scelta strategica, parliamo di sacrifici.

  • A chi vorrai stare antipatico?
  • Con quale pubblico non vorrai avere a che fare?
  • Quale sarà il tuo punto di vista spinoso?
  • Da chi vorrai essere criticato?

Steve Jobs ha detto cose molto interessanti sulle attività di branding: “È un mondo complicato e rumoroso, e non avremo la possibilità di convincere la gente a ricordare molto di noi. […] Quindi dobbiamo essere veramente chiari su ciò che vogliamo che sappiano di noi”. Se desideriamo essere scelti, abbiamo un’unica opzione: essere diversi, unici e memorabili.

Il brand è una sensazione
L’unicità è un grande mito del marketing, ma tutto può essere copiato: il tuo prodotto, i tuoi contenuti, addirittura il tuo logo. Eppure c’è un elemento che, se saprai governarlo, apparterrà solo a te. Alcuni lo chiamano “il DNA del brand”, ovvero le convinzioni radicate che le persone hanno di te e di ciò che proponi, spesso basate più su percezioni che su dati reali: definiscono la sensazione generale di attrazione o repulsione rispetto a una persona, un prodotto o un’azienda. Se ti dico Mercedes, Amazon o Samsung, cosa pensi? Se ti dico Salvatore Aranzulla, Marco Montemagno o Chiara Ferragni, cosa ti arriva a livello di attrazione? Da chi acquisteresti? Come ti fanno sentire? Chi consiglieresti?

Spesso su LinkedIn scriviamo una headline nell’illusione che si tratti di una dichiarazione di posizionamento: “Aiuto le persone a gestire le loro rendite finanziarie attraverso fondi di investimento bilanciati”. Parliamoci chiaro: questo non è posizionamento, ma solo una generica qualifica professionale. Tanto valeva scrivere “Consulente finanziario”.

Quando Apple (scusami se cito sempre le solite aziende, ma è l’unico modo che ho per farmi capire da tutti) basò una costosissima campagna pubblicitaria su uno slogan come “Think Different”, fece una vera e propria dichiarazione di guerra: aveva deciso di spaccare il mercato in nuovo e vecchio, amici e nemici, buoni e cattivi, belli e brutti, innovativi e conservatori. Aveva deciso chi non sarebbe mai stato un suo cliente.

Quindi, prima di passare ai contenuti (ovvero la tattica), ricorda che la tua strategia deve essere ben calibrata e studiata, altrimenti corri il rischio di avere un nome o un marchio basato su messaggi incoerenti, senza direzione, alimentato da esecuzioni confuse che non comunicheranno niente di te e del tuo posizionamento.
Direzione, costanza e coerenza. Se nessuno ti critica, nessuno ti ama.