Coloro che incontro mi dicono continuamente di amare le persone autentiche, ma questo non è quasi mai vero. C’è una bella differenza tra “essere autentici” ed “essere percepiti come autentici”. L’ho scritto anche in un mio libro. La prima è una virtù interiore e consiste nel trovare la perfetta sintonia tra l’essere e l’apparire, cosa niente affatto semplice, perché deve avere come presupposto la conoscenza approfondita di sé e la capacità di rendere questa consapevolezza coerente con ciò che si esprime nelle relazioni e con ciò che si comunica. Diversamente, “essere percepiti come autentici” consiste nel comunicare in una direzione ben precisa, nella speranza che gli altri comprendano esattamente ciò che vogliamo far percepire.

A monte di questa percezione c’è la predisposizione delle persone a ritenere autentico quel poco che conoscono. Prendiamo ad esempio quella poltiglia verde che ci servono in molti ristoranti giapponesi. Non è wasabi, è un mix di rafano e altri aromi. Il vero wasabi costa troppo. Alla maggioranza delle persone non importa, accettano la comunicazione e la prendono per vera. Per loro il finto wasabi è autentico.

Le persone vedono la coerenza e la interpretano come autenticità. Chi fa il mio mestiere lavora alla “governance” del brand di persone, prodotti e aziende, ovvero tenta di coordinare la coerenza nella comunicazione che viene fatta quotidianamente. È la coerenza che ci fa stabilire che qualcosa è autentico. Questo perché siamo tutti condizionati dalla parte istintiva del nostro cervello. Il “sistema uno”, come lo chiamerebbe Daniel Kahneman, quello pigro, che mentre fa altro prende decisioni di routine che costano poca energia mentale.

Le persone tendono a credere più a Chiara Ferragni che alla raccolta fondi a favore dell’ospedale Regina Margherita di Torino per le gravi malattie che tenta di curare. Un pandoro benefico non ha lo stesso grado di attrazione, gradimento e credibilità di un’influencer che ha reso la governance del suo brand una religione. La Ferragni, di fronte all’evidenza, si è scusata, e l’ha fatto indossando i panni della gente comune, mettendosi in un luogo male illuminato, indossando abiti normali e tentando di apparire vera, affranta e pentita. Autentica.

Forse è meglio amare le persone etiche, quelle i cui pregi e i cui difetti sono direttamente collegati alle scelte imprenditoriali, alla comunicazione e alla relazione che instaurano con gli altri, piuttosto che quelle (ritenute) autentiche. 
Amiamo chi fa quello che dice e dice quello che fa. 
Si può fare marketing rimanendo brave persone.