Il passaparola è una pratica efficace che esiste da sempre, anche se negli ultimi anni ha perso fascino tra i cultori delle più raffinate tecniche di marketing. Il motivo per cui nei libri o nelle slide degli eventi aziendali se ne parla meno va forse imputato alla difficile comprensione di cosa lo innesca, e di come possa essere governata l’iniziativa di un singolo che si assume la responsabilità di promuovere qualcosa.

Cosa c’è all’origine di questa pratica?
Ognuno di noi ha consigliato a un amico di rivolgersi a un determinato dentista, ha decantato i pregi di un determinato modello di auto, ha suggerito un idraulico oppure indirizzato qualcuno verso un’opportunità di acquisto.
Perché lo facciamo? Cosa ne ricaviamo?

Che un certo prodotto o servizio ci sia piaciuto o meno non basta a consigliarlo, credo che per farlo debba intervenire una forte motivazione personale.
Ad esempio una di queste domande:

  • Quanto sarò ritenuto responsabile se il mio consiglio non si rivelerà efficace?
  • Chi ha ricevuto il mio suggerimento mi apprezzerà di più?
  • Cosa riceverò in cambio se indirizzo qualcuno verso una determinata azienda?

Spesso chi si espone con il passaparola immagina di ottenere un piccolo vantaggio di prestigio personale o aumentare il livello di legame e riconoscenza in chi lo riceve.

È sempre utile o auspicabile?
Il passaparola ha diversi livelli di efficacia in base all’ampiezza del pubblico e al grado di autorevolezza di chi lo pratica. Comprendo che non sia opportuno mettere sullo stesso piano un famoso influencer e il vicino di casa, ma alla base c’è sempre l’attività di segnalazione.
Da un lato l’esperienza e la conoscenza approfondita dell’argomento determinano l’autorevolezza. Dall’altro lato la rete di amicizie, i semplici conoscenti o il seguito che si ha online influiscono sulla portata della segnalazione. Quindi, se una persona è autorevole ma chi la conosce o la segue online lo fa per ragioni diverse da quelle professionali o per svago, per questo pubblico inconsapevole non avrà sufficiente influenza e non genererà richieste di pareri specifici. Attenzione e fiducia, siamo alle solite!

Offline vs online
Un influencer è spesso pagato dalle aziende per parlare dei loro servizi o prodotti, in questo caso si tratta di un portavoce commerciale. In base all’argomento nel quale l’influencer è verticale potrebbe risultare molto interessante per un’azienda. Questo però non è il passaparola, ma una moderna declinazione di ciò che in altre epoche veniva fatto sui magazine di settore o sui quotidiani.
Il passaparola più efficace riguarda pubblici più ristretti, come forum e gruppi, messaggi privati o conversazioni di tutti i giorni.
Io stesso vengo interpellato continuamente tramite messaggio per avere consigli su corsi, libri o aziende di marketing. Cosa che si verifica anche quando incontro le persone alle fiere, agli eventi o nelle aziende.

Il marketing del passaparola è sempre più rilevante ma sempre meno compreso, perché sfugge alle misurazioni, non può essere oggetto di pianificazione e pacchettizzato.

Possiamo lavorare sul passaparola creando un valido motivo per ottenere gratitudine e riconoscenza. Un cliente felice tende a consigliare il professionista o l’azienda alle persone a lui più vicine. Per facilitarlo, potresti fornirgli tutte le informazioni che può condividere, come siti, dépliant o biglietti da visita. Una volta venuto a sapere della sua benevolenza nei tuoi confronti, potresti anche ricompensarlo con sconti, prodotti o una semplice (ma enormemente efficace) telefonata o mail di ringraziamento.
Il passaparola è un fenomeno sociale a cui bisogna rispondere con la stessa modalità: la vicinanza verso il cliente.