Chi utilizza le reti sociali da qualche tempo ha scoperto che prodigarsi ad interagire costantemente con altri utenti ha come effetto quello di ottenere l’interessamento e il ricambio nelle azioni. Se cominciamo a citare nei tweet, a spargere like “come se piovesse”, a commentare e condividere il maggior numero di utenti possibile otterremo l’interessamento di una parte di questi che in qualche modo ci saranno riconoscenti e ricambieranno con altrettanti like, follow e commenti. Semplice.

Accade quindi che se su LinkedIn cominciamo a prodigare endorsement (confermare le competenze di un profilo e a consolidarne la credibilità) ad utenti a casaccio, riceveremo in cambio lo stesso benevolo trattamento, oppure se cominciamo a distribuire “mi piace” a profusione su Facebook, inevitabilmente, ci ritroveremo con persone che faranno like sulle nostre attività mentre prima non ci consideravano. Un espediente favorito anche da parte di alcuni algoritmi nei social media di maggiore successo.

Instagram

Su Instagram non ho mai avuto una strategia e non lo considero, per le mie attività, utile quanto altri social media per portare traffico sul blog. La piattaforma di proprietà di Facebook ha un bacino di utenti invidiabile e molto interessante (specie tra i giovani) e che dovrebbe rientrare obbligatoriamente nei piani di comunicazione di qualsiasi azienda o persona. Il suo unico problema è questo: non è possibile inserire un link ad un contenuto esterno. Questo rende, a mio avviso, poco utile il social network ai fini di portare traffico sui post, che è l’obiettivo che invece mi prefiggo di raggiungere.

Da mesi sulla piattaforma ero stabile a 2.300 follower e i miei post ottenevano al massimo 20/40 like se proprio facevo un “capolavoro” fotografico. Lo giudicavo normale e giusto non frequentandolo in modo assiduo e non credendoci come credo ad altri social.

Un collega la settimana scorsa mi ha chiesto: “come posso ottenere molti seguaci su Instagram, me lo chiedono molti clienti che hanno a che fare con il turismo”. Stavo per dare una risposta banale, quando lucidamente mi sono riservato di capire come funziona il social network delle fotografie edulcorate. Dopo anni di frequentazioni su piattaforme visuali immaginavo ci fossero metodi che favorivano la visibilità, a prescindere dalla “qualità artistica” del prodotto. Cominciai ad osservare attentamente i maggiori instagrammer italiani; molti li conosco di persona e da sempre mi chiedevo come avessero potuto ottenere decine di migliaia di seguaci, avendo in alcuni casi postato meno foto di me e di qualità equivalente. Insomma, non si nasconde il nuovo Robert Capa tra loro.
Una funzionalità che molti non avranno notata di Instagram è illuminante: nel penultimo pulsante in basso sulla app, denominato “attività” abbiamo le notifiche che ci riguardano e  in alto un male tradotto “SEGUI GIA'”. Questa schermata permette di vedere le attività di like di chi seguiamo in modo da capirne i gusti e quanto sono attivi. Ho notato che alcuni di questi mettevano il like in modo a dir poco compulsivo e che ritornando su questa scheda anche in orari improbabili erano sempre lì a mettere i “mi piace” sulle foto più disparate: belle, brutte, inutili e di qualsiasi parte del globo terracqueo. Vedendo i profili di questi amici ho scoperto come avessero decine di migliaia di follower in continua crescita e i like sui loro post erano da rock star.

Autodenuncia

Non serviva Philip Marlowe per capire che per ottenere tanto seguito e tanti interazioni occorresse essere iperattivi. Con Salvatore Russo ho indagato su questa iperattività e abbiamo scoperto essere generata da software appositi. Ne esistono decine e basta una piccola ricerca su Google per trovarli.
Dopo aver impostato sul mio profilo un “auto liker” ho misurato dopo pochi giorni l’incremento di 700 follower. Non solo: ora non faccio post con meno di 100/200 like, anche se le foto in alcuni casi sono deboli e ordinarie. Questi tool si possono programmare per scatenarli nella rete a fare like su un pubblico selezionato; nel mio caso ho preferito gli italiani profilandoli attraverso gli hashtag delle maggiori città del bel paese.

Alla fine cosa rimane

L’etica di questo tipo di comportamento è quanto meno dubbia, perché ho impostato in modo automatico un’azione che, pur essendo riproducibile anche manualmente, non avrei mai compiuto per via del tempo e della voglia. Questo comportamento ha ottenuto l’effetto di generare interazioni e seguito da parte di un pubblico che è reale e sfruttabile in campagne aziendali e personali ai fini promozionali. Se avessi intrapreso questa azione per un cliente, avrei di certo centrato l’obiettivo di visibilità.

Quella che ho fatto e che molti fanno da mesi è senza ombra di dubbio una operazione consentita dello strumento, ma mi chiedo ugualmente perché non sia stato posto un freno:  su Facebook, ad esempio,  non è possibile questo tipo di attività. Evidentemente l’aumento, anche sintetico, delle interazioni fa comodo ad una piattaforma che spera poi di innescare un coinvolgimento e aumentare sempre più le schiere degli affezionati.

Emulare il comportamento umano attraverso mezzi digitali per conseguire un pubblico reale non è sicuramente il massimo, assomiglia ai pescatori che dopo aver avuto un insuccesso nella raccolta si presentano a casa con un pesce acquistato in pescheria. Alla fine la triglia è ben cotta sul tavolo, ma la soddisfazione del risultato va a farsi benedire.