Premetto – prima che qualcuno mi accusi di cinismo o di disprezzo verso il self-help, alcune forme tossiche di coaching o il sacro vangelo del “credi in te stesso” – che crogiolarsi nella negatività e nel vittimismo porta a una profezia che si autoavvera. Tutto può diventare impossibile: basta crederci, volerlo davvero e niente sarà mai alla tua portata.
Detto questo, mi sovvengono alcune, altrettanto scomode, considerazioni.

Quando cresce la disuguaglianza, cresce anche il business delle illusioni.
In tempi di scarsità e insicurezza, la promessa che “tutto dipende dalla tua mente” diventa irresistibile. È in questi contesti che fiorisce l’industria più tossica del self-help, che non solo si nutre delle ingiustizie sistemiche e si adatta a loro, ma spesso le giustifica.

L’idea che il successo sia una pura questione di mentalità (o forma mentis) trasforma problemi collettivi in colpe personali. Così, la mancanza di opportunità diventa una mancanza di volontà, lo sfruttamento viene giustificato con la retorica della crescita e della lotta per farcela, e la sofferenza si trasforma in una “lezione spirituale” che ci porterà a migliorare.

Non è un caso che dottrine come la Legge di attrazione (la tanto in voga ora “Law of Attraction”, una teoria new age secondo la quale i pensieri e le emozioni influenzano la realtà che ci circonda) si diffondano proprio quando il sistema sociale ed economico è più iniquo. Più ci viene detto di “visualizzare, incanalare e focalizzare i nostri pensieri”, più possiamo essere certi che qualcosa, là fuori, non funziona.

Questo spiritualismo cool e patinato è diventato una forma moderna di “oppio dei popoli”: ci consola, ma non ci libera.
Finché continueremo a cercare soluzioni interiori a problemi esterni, il “potere” resterà al sicuro, immune ai nostri pensieri positivi e incanalati verso un futuro che non si avvererà mai.