Quelli che vengono impropriamente chiamati “influencer” in realtà non influenzano nessuno, neanche la loro moglie.
Forse potremo definire “influencer” un personaggio come Gerry Scotti, che grazie alla sua notorietà e allo sguardo da “piacione” strizza l’occhio alle massaie in menopausa convincendole a mettere in pentola il riso che richiama il suo nome.
Se invece pensiamo ai blogger, dotati o meno di seguito presunto, come “influenzatori della rete” stiamo certi che il massimo a cui potremo aspirare e qualche tweet e alcuni clic.
Tolti tutti i dubbi sul reale valore di questi personaggi vediamo a cosa servono realmente.

Sono professionisti e persone di talento in grado di generare contenuti e divulgarli grazie alla loro esperienza di blogger. Non sono famosi e quindi agiscono senza budget pubblicitari quando promuovono loro stessi.
La loro esperienza fa si, che applicata ad una  strategia di content marketing aziendale, riescano ad ottenere il massimo impatto possibile conoscendo le dinamiche di coinvolgimento della rete. Sanno posizionare il contenuto sulle SERP e le strategie per ottenere il maggiore engagement nelle principali piattaforme sociali. Durante un live twitting sono in grado di emergere per rilevanza nella timeline. Poi a seguire eventi live, video ecc…

Secondo uno studio di onlinemarketinginstitute.org negli USA sono tra le persone in campo pubblicitario più richieste, timidamente, ora anche in Italia. Le aziende, del cugino che tiene la pagina Facebook, non se ne fanno più nulla. Visibilità e conversazione vanno affidate a chi è in grado di generarle.

Concludo dicendo che spesso dietro alla facciata scanzonata da #fuffaro c’è un professionista in grado di misurare i risultati, gestire le crisi e capaci di non dar spazio alle persone invidiose che rosicano nell’ombra sperando di innescare flame per aumentare la propria visibilità. (Qui habet aures audiendi audiat)