In questo cambiamento d’epoca, le persone si sono divise tra una moltitudine di canali mediatici. Oggi non sappiamo più dove sono i nostri clienti, a cosa prestano attenzione e in quale luogo trovarli. C’è chi guarda la TV in streaming, chi scorre foto su Instagram, chi cerca lavoro su LinkedIn o chi guarda recensioni di automobili su YouTube. C’è una sola certezza: trovano quello che cercano su un display che tengono sempre in tasca.

Per l’azienda che vuole creare nuovi motivi di interesse verso se stessa e i suoi prodotti è sempre più difficile coprire questo articolato delirio mediatico. Cinquant’anni fa, il telecomando ha spaventato i pubblicitari. Oggi l’anomalia del sistema è rappresentata dal consumatore di contenuti fedele e lineare. La massa sta svanendo. Per essere efficaci oggi e domani bisogna coprire il più largo numero possibile di nicchie.

Una potente risorsa comunicativa

Una media o grande azienda ha a disposizione un potenziale comunicativo inespresso dalla grandissima portata. Recentemente ho lavorato in settori finanziari, delle telecomunicazioni e automotive e posso confermare che un dipendente motivato e capace può ottenere molto più, attraverso la sua comunicazione e le relazioni che ne derivano, rispetto ad una campagna marketing sui social network dell’azienda stessa.

Non è facile trovare un dipendente con le caratteristiche giuste, consapevole del posizionamento del Brand ed efficace dal punto di vista comunicativo, ma per le aziende che hanno risorse adeguate può diventare l’asso nella manica che apre un ventaglio di possibilità.
Come illustra Charlotte Rowe in questo articolo, ci sono cinque benefici che l’azienda può ottenere attraverso dipendenti che abbiano una presenza LinkedIn forte. A fronte dei dati di adozione della piattaforma social tra i professionisti possiamo affermare, con una ragionevole sicurezza, che “l’80% dei lead B2B generati sui social media viene da LinkedIn” (fonte) e che “il 45% dei profili LinkedIn è costituito da professionisti, manager, titolari o dirigenti” (fonte).
Tutto questo fa presagire che è abbastanza probabile che le persone prestino attenzione alle altre persone all’interno della piattaforma. Quindi, di fatto, se opportunamente registrata, è una macchina da lead.
Secondo Charlotte Rowe le grandi aziende possono trarne beneficio attraverso un’immagine pubblica positiva e di reputazione del Brand. In Italia capita davvero di rado che i dipendenti parlino in maniera entusiasta del proprio lavoro e dell’azienda. Ovviamente queste persone nutrono in maniera efficace, mettendoci la faccia, la visibilità dell’azienda in cui lavorano. Generano contatti e tengono relazioni con possibili clienti. Aumentano la portata comunicativa dell’azienda grazie ai contenuti e alla relativa presenza nelle ricerche. Come ultima cosa, ma di enorme importanza per le aziende illuminate che lo sanno apprezzare, attraggono talenti e professionisti capaci in ottica di Employer Branding.

Oggi, è più che mai opportuno che un dipendente faccia gioco di squadra, nell’interesse proprio e dell’azienda nella quale è impiegato. Il campo operativo è vasto e il pubblico in cui ricavare clienti è scomposto e disordinato. Coprire più settori mediatici possibili è più che mai opportuno. LinkedIn è un mezzo potente, ma non l’unico.

Pericoli oltre l’opportunità

Tutta questa – non lo nascondo – complessa strategia di marketing “porta a porta” può presentare problemi o contenere insidie. Ad esempio i malumori all’interno dell’azienda. Chi viene scelto potrebbe ritrovarsi a vivere disagi relazionali con chi non è stato ritenuto utile alla causa. Il secondo problema, riscontrato di frequente, è che se il dipendente fa bene il suo mestiere, ottiene visibilità, prestigio e di riflesso appetibilità sul mercato. Non è raro che un dipendente, specie un commerciale, venga adulato da una società concorrente dopo l’incremento di visibilità online. Un ulteriore pericolo potrebbe nascere dall’“influencer” interno all’azienda provocando problemi o dissonanze con la governance del Brand o della comunicazione aziendale.
Se si decide di delegare la comunicazione a qualcuno che ha talento ma poca esperienza, specie in un’azienda esposta ad attacchi, la persona incaricata potrebbe scivolare su qualche buccia di banana e lo scivolone potrebbe ripercuotersi su tutto il sistema comunicativo, incrementando il rischio reputazionale.
Ulteriore insidia: la persona che cura il proprio Personal Brand, per motivi aziendali, sottrae ore di lavoro al suo impiego primario all’interno dell’azienda. Tuttavia questo potrebbe essere un “happy problem”, se porta nuovi clienti e opportunità all’organizzazione stessa.

Non solo benefici per l’azienda, anche per il dipendente

Il povero dipendente cosa ci guadagna con questo lavoro extra?
Anche se all’apparenza sembra un carico di lavoro supplementare, dopo qualche mese o anno scoprirà che, eseguendo bene questa mansione, otterrà sempre più rilevanza all’interno dell’organizzazione, avrà un pubblico all’esterno, maggiori possibilità di avanzamenti di carriera, potrà diventare un punto cardine della strategia aziendale ed evitare il rischio di entrare a far parte di liste di riduzione o trasferimenti di personale.
Ultima cosa: avrà una garanzia per l’occupazione futura in altre aziende e la possibilità di ottenere un salario più alto a fronte del pubblico e dei risultati ottenuti.

Aziende illuminate, che hanno all’interno dipendenti altrettanto illuminati e capaci di vedere oltre, dovrebbero approfittare di questa possibilità e non lasciarla sprecata, prima che lo faccia la concorrenza. Cosa vi trattiene?