Che Google, oltre ai necessari algoritmi, mettesse in campo anche esseri umani per valutare siti e blog era cosa nota, già da qualche anno si è a conoscenza di un manuale che indica le linee guida a supporto di questi operatori, denominati “Quality Rater“. Poche ore fa è trapelato il contenuto di un nuovo “Quality Rating Guidelines ver. 5.0” datato 31 marzo 2014 che indica molti parametri nella valutazione di un sito tra cui, a mio avviso, il più interessante è l’acronimo EAT (Expertise, Authority, Trust). Ne parla ampiamente oggi il TagliaErbe a cui vi rimando per approfondire il tema. Quello che volevo sottolineare è l’ulteriore passo avanti del colosso del search nel basarsi sulla persona, l’autore del contenuto, la sua attendibilità e l’autorità in materia. Il personal branding basato sulla competenza, la community a sostegno è il circondarsi di un network di persone altrettanto autorevoli, diventano un segnale fondamentale per valutare positivamente un blog o una pagina web.
Google afferma che i siti o le pagine che non presentano questi 3 elementi (competenza, autorità e attendibilità) dovrebbero avere un rating basso e risultare successivi nelle ricerche. Come parametri per soppesare le competenze, secondo il manuale, “la popolarità e il coinvolgimento degli utenti possono essere considerate prove di reputazione“. Posso ipotizzare, con una certa sicurezza, viste le evidenze, che i valutatori di Google ascoltino la rete per capire se l’autore riesce a coinvolgere e creare conversazione attorno al proprio contenuto e su questo basare un punteggio positivo.
Ho chiesto a Claudio Gagliardini questa mattina a caldo: Le persone sono diventate fondamentali e le community a supporto anch’esse. Gli autori, se supportati da un forte seguito, possono essere garanzia di un buon contenuto?

Credo che ridefinire il ruolo e il peso della variabile umana sia uno dei veri cambiamenti epocali messi in campo da Google negli ultimi anni. Google+ ha rappresentato l’inizio di un modo nuovo di considerare la search, da parte di Big G. Un radicale cambiamento di rotta e, forse, l’ammissione che nessun robot sia ancora davvero in grado di sostituire gli esseri umani, quando ci troviamo di fronte ad un numero di variabili impercettibili alla sensibilità matematica dei logaritmi.
Per venire alla tua domanda, la garanzia di un buon contenuto non potrà scaturire escluisivamente dal peso delle community che lo supportano perché, come sappiamo, comprare like o interazioni è facile quanto lo era comprare link, pratica che Google ha in poco tempo individuato e punito.
Anche in questo caso, dunque, non credo saranno i numeri in quanto tali, a fare la differenza, bensì la qualità che c’è dietro quei numeri.
La sfida, per Google, sarà sempre più quella di capire se a supporto di un contenuto che reputa mediocre ci siano 100 mercenari o 100 esperti del settore, che leggono in quel contenuto delle potenzialità che gli algoritmi o gli stessi quality rater non erano riusciti a cogliere. E viceversa, ovviamente.
Quello che Google sta cercando di fare, secondo me, è attribuire un peso a ciascun utente, oltre che a ciascun contenuto. Sta cercando di capire chi siamo, cosa ci interessa, quali siano le nostre competenze e quale sia il nostro livello di comprensione e di apprezzamento di un contenuto. In un certo senso tutti noi saremo quality rater (lo siamo già, in fondo), sotto l’occhio attento degli esperti di Google, che valuteranno i contenuti e la loro “spinta dal basso”.

Claudio conferma la tendenza di un web futuro sempre più improntato all’autorevolezza dell’autore e sempre meno al trust del sito. La persona al centro di tutto (anche nel valutare i siti), ed è per questo motivo diventa sempre più fondamentale ricercare la conversazione e la costruzione di una rete di buone relazioni.