Ci hanno insegnato a utilizzare formule, metodi e percorsi ogni volta che dobbiamo realizzare o gestire qualcosa di nuovo. Ci sono sempre delle regole, un manuale o un caso studio che non possono essere ignorati.

Quando scriviamo un contenuto, gli esperti della SEO ci dicono come fare affinché piaccia a Google. Sui social media, c’è sempre qualcuno che ci indica le “dieci cose” indispensabili per creare un post di successo su Instagram. C’è anche il recruiter che scrive un libro in cui espone le migliori pratiche per redigere un curriculum apprezzato dalle aziende. In qualsiasi settore, ci sono quelli che hanno una lista di elementi da rispettare per rientrare nella norma e alimentare la rassicurante ordinarietà.

L’essere umano è portato a seguire le regole più che a innovarle. La grandezza di Henry Ford fu proprio l’aver capito che non era necessario insegnare a 1.000 operai a costruire automobili, ma bastava spiegare a ognuno di loro una sola operazione facile da imparare e mettere in pratica. La stessa cosa oggi accade anche in un ambito in cui tutto questo è fortemente deleterio: il marketing.

Adottare un metodo è una buona soluzione per iniziare e ottenere subito una qualità minima accettabile, ma è anche il modo migliore per essere ignorati, perché così facendo si sceglie di essere uno tra i tanti: ordinario e confondibile.

Quando scrisse Frankenstein, Mary Shelley cambiò tutto, mostrando al mondo uno stile di scrittura diverso. Un tipo diverso di scrittore. Raccontò una storia che non assomigliava a nulla di ciò che esisteva prima. Fece scandalo, alcuni la detestarono e molti la amarono.

Cosa succede quando la tua narrazione esce dagli schemi di contenuti tutti uguali e diventa così imprevedibile da creare stupore e perplessità? Quando smetti di essere una risposta e diventi una domanda?