E’ un dato statistico che su Facebook l’utente medio ha circa 130 amici. Su Twitter la media è simile, anche se la piattaforma cinguettante non ha come peculiarità il favorire le relazioni tra following e follower.
Facebook è il social più indicativo in ottica relazionale tra utenti, perché si presuppone che le amicizie reciproche siano intese come reali o di buona affinità.
Secondo l’antropologo britannico Robin Dunbar, un individuo non è in grado di avere più di 150 amici per un limite strutturale: “questo limite è funzione diretta della dimensione relativa della neocorteccia, che a sua volta limita la dimensione del gruppo“. Giunse a questa conclusione dopo aver studiato molti primati ed esseri umani e le loro relazioni. 150 individui con i quali può essere mantenuta una relazione interpersonale stabile, se ne dovessero entrare di nuovi verrebbero esclusi quelli meno rilevanti o che abbiamo perso di vista. (queste sono le risultanze di questa recente ricerca)

Chi ha migliaia di amici sulle reti sociali non lega vere amicizie ma collegamenti di un network la cui relazione è nel rilascio di informazioni che li riguardano. Nel caso degli utenti più seguiti, in cui il personal branding è particolarmente coltivato con decine di migliaia di contatti, il tipo di relazione è esattamente uguale a quella di un brand che gestisce una community, dove l’utente interagisce e risponde utilizzando tecniche da customer care.

Questa in sintesi è la conclusione di Graham Jones, psicologo, nel post: “Time to organise your social networks“, in cui consiglia di organizzare il proprio network per aumentare la potenzialità nello sviluppo di un capitale sociale utile professionalmente.

Non credo sia stata fatta una grossa scoperta, era ben evidente che le amicizie sui social nella maggioranza dei casi sono puro e semplice networking. Questa visione disincantata non deve farci odiare lo strumento ma utilizzarlo consapevolmente come leva nelle nostre attività.

Nel post di Rudy Bandiera di ieri è nata una polemica in cui è la seguente frase: “chi fa della comunicazione un mestiere, non è libero di comunicare come vorrebbe” è la sintesi migliore. Rudy e Francesca Borghi si stupiscono (forse per finta) di come non possano essere liberi di comunicare come gli utenti standard su Facebook perché spesso alla prima occasione vengono attaccati.
Quando si parla a migliaia di persone è giocoforza che tra queste vi sia di tutto: l’amico, il cliente, il fornitore, il collega invidioso e quelli che rosicano per qualsiasi cosa.
Basterà postare per due volte in un mese la foto dell’aperitivo, che meritatamente ci concediamo dopo 13 ore di lavoro, che immediatamente verremo additati come i cazzari che se la spassano.
Fa parte del gioco.

(il titolo è una citazione di Arthur Schopenhauer)