Esiste un divario tra dove sei e dove vorresti essere.
Chiamalo vuoto, chiamalo distanza, chiamalo mancanza. Ma qualsiasi termine tu scelga, la domanda è: come vuoi gestirlo?
Perché quel vuoto può essere carburante, può ispirarti a tentare, a cambiare, a costruire.
Oppure può diventare un fossato invalicabile. Qualcosa che osservi da lontano mentre ti convinci che è troppo ampio e troppo profondo.
E intanto scrolli. Leggi notizie che ti consumano, assorbi la paura degli altri, lasci che la rassegnazione si travesta da consapevolezza.
Il “doomscrolling” quotidiano è un lusso che molti non possono permettersi.
Un padre o una madre con due lavori non ha tempo per disperarsi.
Chi è costretto a ricostruire la propria esistenza dopo un evento traumatico non si lascia travolgere dal confronto sui social.
Chi lotta davvero – sul territorio, nelle scuole, nelle famiglie – non ha tempo di soffermarsi su chi ostenta la sua vita perfetta su Instagram.
Non perché sia più forte, ma perché ha capito che la disperazione paralizza, mentre l’azione libera.
La storia è piena di persone che hanno trasformato il buio in prospettiva.
Chi si è trovato di fronte alla scelta “fight or flight” non ha aspettato tempi migliori: ha scelto, parlato, agito.
Non ha avuto il privilegio di restare fermo.
La speranza non è un sentimento dolce.
È una disciplina.
È il coraggio di alzarti quando tutto ti dice che è inutile.
È la scelta quotidiana di dire: “Vado avanti comunque”.
Quindi, la prossima volta che senti di non farcela, che non ha senso, che “tanto è tutto inutile”… fermati un secondo e chiediti: “Sto usando questa mancanza per prendere la rincorsa, o sto lasciando che mi svuoti?”.
Il cambiamento non nasce nel comfort.
Nasce nella decisione, ostinata e quotidiana, di fare qualcosa comunque.
Quel vuoto che senti?
È solo l’inizio del nuovo te stesso, se lo vuoi.